Ott
01
2015

Piccolo anello zoldano: tappa 3 – con gli occhi pieni di voi

La terza tappa, la più lunga, prevede una camminata di 2 ore e mezza che decido di percorrere da sola. Non è una scelta a caso, sento l’esigenza di camminare tra il verde e di perdermi nei miei pensieri. Non nascondo che, mentre guido verso Dont, esito e prendo in mano il cellulare un paio di volte pensando di recuperare un compagno di viaggio ma, per ogni volta che lo faccio, mi ritrovo a riporlo sul vano sempre con maggior convinzione che la mia intenzione originale sia quella giusta. La realtà è che voglio sentire che ritmo hanno i miei respiri senza viziarli di niente, come dice una delle più famose citazioni di Alda Merini.

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Ho smesso di chiedermi i motivi di certe esigenze personali ed improvvise e ho cominciato ad ascoltarle, ho smesso di rubarmi il tempo in cerca di riposte che non esistono perché è tutto molto più semplice… Non siamo fatti di un solo ingrediente: siamo quelli che si siedono in solitudine su una cima, in silenzio, con una reflex per uno scatto che potrebbe richiedere ore, quelli dell’aperitivo su un rooftop al centro del mondo, quelli che, con lo stesso entusiasmo, comprano un paio di scarpe da trekking o ballano la taranta con le amiche in mezzo alla folla del Salento… Siamo sempre noi.

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Eccomi al lato della famosa gelateria, finalmente sono arrivata e ho finito di far coda come al mio solito -chi mi conosce sa che è tragicamente vero… ma tra una canzone cantata e uno spasmo alla ricerca dell’ennesima cosa inutile nello zaino mi ritrovo irrimediabilmente a dar origine a delle processioni degne dei più famosi Corpus Domini-.

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Percorrendo il piccolo e romantico centro mi avvio verso Foppa. E’ fresco, mi chiudo il Wind stopper e giungo a Pradel… un vecchietto mi scruta mentre mi avvicino… ho il suo benestare quando, salutandolo, sente che non sono ‘foresta’. Prendo la stradina sulla sinistra, qualche metro dopo una fontana dove finisce l’asfalto e finalmente mi trovo in salita nel verde. Pochi minuti di camminata e sono in mezzo al bosco: la pace e un susseguirsi di lievi saliscendi mi conducono verso Cercenà e soprattutto verso quel relax interno che cercavo. Ogni volta che oltrepasso Igne e mi dirigo verso Zoldo respiro aria di casa… quando cammino tra queste montagne mi sembra di sentire profumi passati, di momenti felici, autentici, che sanno di famiglia, che mi ricordano i miei nonni. Sono nata a Longarone da due famiglie diverse ed entrambe fantastiche. Ricordo di aver sentito più volte mia nonna paterna descrivermi come una bambina che osservava tutto… in realtà ero solo affascinata dal modo ambivalente che mi hanno dato di vedere le cose.

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La famiglia di mio padre, passione per il mare: mio nonno ex comandante di Marina, chiamato a Longarone per fare il Consigliere Comunale dopo il disastro del Vajont, e mia nonna nata nella Zara italiana del 1921. I miei nonni materni, gente di montagna: trasferiti a Parigi dopo il matrimonio, rientrati solo una decina d’anni dopo con i loro figli per riprendere la loro vita a Igne, in un luogo che aveva una cornice dal nome familiare ma dai connotati del tutto estranei… Io ero affezionata ad entrambe le famiglie ma, con la testa di una bimba, mi chiedevo come 2 chilometri scarsi -che distanziano Longarone da Igne- potessero cambiare radicalmente il modo di vedere le cose… da un lato mia nonna paterna che alzando gli occhi mi ripeteva spesso, abituata a guardare il sole che tramonta nel mare, ‘come si potesse vivere con un pezzettino così piccolo di cielo’, dall’altra mia nonna Vita che guardava col binocolo le sue montagne, osservando animali e livello della neve o della fioritura… due modi così diversi di guardare lo stesso cielo… e io incantata cercavo di capire con quali occhi sarei cresciuta. Mentre cammino mi rendo conto che sto sorridendo per la fortuna che mi porterò dentro per sempre: potrò camminare nella neve, vedere un capriolo, giocare con i piedi nella sabbia e ricordare sempre qualcuno di speciale…

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Giro un angolo verde e mi ritrovo dinnanzi ad una casa piena di piccoli castelli costruiti con pezzi di specchio e vetri colorati: sono a Cercenà.

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Giovanni, l’unico abitante rimasto in questo borgo, mi dà il benvenuto e mi conferma la strada per continuare il mio tragitto.

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E’ simpatico, mi offre un frutto e mentre mi saluta mi dice ‘diccelo a tua mamma che ti ha messo proprio un nome orribile!’ Mi metto a ridere e salutandolo lo ringrazio. Proseguo in discesa e percorrendo una strada forestale arrivo al torrente Maé.

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Superato il ponte e dopo qualche passo mi ritrovo davanti ad un sentiero che risale il bosco, quel frutto mi ha aperto lo stomaco e il sig. Giovanni mi ha ricordato che potrei mandare un messaggio a mia madre per autoinvitarmi a pranzo… il telefono prende e le scrivo. Tra uno scatto e un ricordo arrivo a Nosgieda di Sotto. Mi hanno avvertita che da qui alla parte superiore del paese potrei incontrare dei cervi ma non avviene e in poco sono su una pista forestale che mi porta a Villa di Zoldo. Vado a riprendere la mia 500 e mi dirigo verso casa dei miei…direi che il mio momento solitario l’ho più che soddisfatto.

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Non definiamoci mai, non cerchiamo di catalogarci come solitari o animali da feste, persone da trekking o da club subacqueo, solari o ‘ciniconi’… siamo come un fragile Swarovski che può proiettare un’infinita sfaccettatura di luci diverse a seconda del sole che si riflette su di lui in quel momento. Siamo fragili, unici e… per fortuna, come ogni cosa fantastica: indefinibili.

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